Riconnettere il servizio pubblico radiotelevisivo ai bisogni dei cittadini e delle comunità

 

— La visione —

La “spinta gentile” (Thaler e Sunstein 2009) viene da lontano, ed è parte della storia del servizio pubblico in Italia, parte della storia del dialogo tra la Rai ed il suo pubblico.

All’inizio fu l’azienda unica verso l’utente unico: il pubblico indistinto, da rendere sempre meno distinto, da uniformare. Sono gli anni, su cui molto è stato scritto (vedi De Mauro), in cui l’unificazione, linguistica, culturale, di classe è stato un mandato importante della televisione di stato, un valore

Poi si scoprono i pubblici: no non siamo tutti uguali ed improvvisamente il valore diviene questo, la diversità, le differenze linguistiche, l’identità di genere ecc. Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta accanto alla Rai e ai grandi gruppi editoriali esplode con un grande dinamismo il mondo delle piccole imprese[1].

Molti piccoli imprenditori iniziano ad investire in televisione e nascono le prime tv locali. E qui, non subito, tra gli anni settanta e gli anni ottanta, succede un passaggio chiave, uno sliding doors per il sistema televisivo italiano, si perde per strada un obiettivo di bene comune. E’ la concomitanza di 3 fattori negativi:

  • Le tv locali non hanno un progetto pubblico e, nonostante il grande dinamismo sociale e politico degli inizi, lentamente si trasformano in strumenti prettamente commerciali. Scrive De Rita (1982, p. 12): “Il potere economico va si in periferia, ma non va su isolotti ben solidi, su cui si può fare, per esempio, potere culturale, trattativa culturale, nuova televisione, nuovo giornale. No, va su livelli estremamente frantumati […]”. E’ una frantumazione ideologica che perde l’occasione di rompere gli schemi della cultura egemonica, dei grandi gruppi editoriali, perché anche laddove il territorio esprime un’alterità culturale, gli imprenditori televisivi non sono in grado o interessati a farsene interpreti;
  • E le nascenti regioni, che avrebbero potuto coinvolgere, con gentilezza, questo potere economico “periferico” all’interno di un progetto territoriale con fini, anche, pubblici, mancano invece di una politica culturale, presi da interessi settoriali e corporativi (Bechelloni 1972, Crainz 2003) e perdono così un’occasione storica, di fare dell’informazione regionale un progetto democratico e di sviluppo;
  • Nel frattempo sia la Rai che i grandi gruppi editoriali del Paese resistono al cambiamento, perdono l’occasione di conoscere e dialogare con i nuovi pubblici che premevano per avere nuovi prodotti mediatici, nuova musica, nuove narrazioni – frenano. Lasciando così il terreno libero all’affermazione di Fininvest e del progetto berlusconiano.

Come suggerisce Crainz (2003), manca in questi anni un governo della trasformazione, in Rai come nel Paese, in grado di integrare classi e fenomeni emergenti in un sistema di valori e regole condivise (Barca, 2007).

Inizia così l’era della tv commerciale. Del pluralismo esterno secondo alcuni: quelli che ritengono che a molti canali corrisponda la possibilità di parlare e servire molti pubblici. Di conclamata assenza di pluralismo, secondo altri: quelli che credono che pluralismo significhi rispondere a tutti i pubblici, non solo quelli che la tv commerciale insegue e coltiva. Si moltiplicano anche i canali della Rai. Inizia l’era del pluralismo interno che, come sappiamo, di fatto cavalca la lottizzazione.

In Rai è questo il momento, il passaggio, in cui si perde di vista l’obiettivo pubblico. Se, infatti, negli anni della rete unica e del monopolio DC – torniamo così alla prima fase – possiamo dire che l’obiettivo politico, del partito dominante, coincide con gli interessi del Paese o, almeno, propone e cavalca una chiara e precisa visione di servizio pubblico, con idee, progetti, valori – dopo di allora questo si perde progressivamente per strada.

Fino a metà degli anni settanta (gli anni di Bernabei, che ha diretto la Rai dal 1961 al 1974!), infatti, la Rai ha prodotto alfabetizzazione, non solo unendo le lingue ma anche proponendo prodotti di finzione e di approfondimento che hanno avuto un effetto reale “educativo”, di formazione. Hanno ampliato gli sguardi, anche in senso geografico, e le visioni. E hanno lavorato sui valori, giusti o sbagliati che fossero, ma c’era un progetto, pubblico.

Poi la spartizione in reti , in correnti, ha non solo spezzettato il progetto pubblico in sottoprogetti, perdendo il senso complessivo di una strategia unica aziendale, di una missione unica per il Paese, ma ha pian piano offuscato il mandato di servizio pubblico in funzione di singoli progetti di marketing politico, spesso diretti agli elettori più che ai cittadini.

Naturalmente in questi 40 anni di pluralismo esterno la Rai ha prodotto molto e dato molto a questo paese. E non mi riferisco solo alla pluricitata stagione di sperimentazione ed innovazione della Rai3 di Angelo Guglielmi, che ha rivoltato linguaggi, metodi, formati. Ma si è perso nel tempo, in particolare dall’inizio degli anni novanta, un progetto chiaro e trasparente di servizio pubblico. A cosa serve la Rai?

Poi è arrivata la tv arricchita. Sia Rai che Mediaset hanno resistito più che potevano – e non entrare in partita su nuove piattaforme, non entrare nel gioco dell’innovazione, è stato un utile tentativo di conservare una rendita di posizione. Facciamo finta che il mondo sia lo stesso di 30 anni fa finché nessuno se ne accorge… Ma il pubblico, anche se è in Italia ancora incredibilmente solido (nonostante la costante frammentazione degli ascolti su nuovi canali e piattaforme), il pubblico pretende e merita di più e di meglio.

Pretende e merita una tv più ricca e diversificata, pretende e merita qualcuno che gli parli con un linguaggio innovativo, complesso e ibrido, per citare il bel libro di Arcagni (2016) sulla nuova televisione.

E soprattutto, dalla Rai, merita un servizio pubblico.

Ma da dove ripartire? Io credo si debba ripartire da un nuovo progetto, diverso seppur coerente con la propria storia. La Rai deve immaginare un nuovo Paese e raccontare e condividere questa visione con gli utenti. Costruire un Paese migliore, dei cittadini migliori: questa è la sua missione. Un mandato unico e non competitivo.

Spingere, con gentilezza[2], il proprio pubblico a migliorare le proprie condizioni di vita, di se stessi e del territorio in cui vivono, quindi aumentare il benessere collettivo[3].

Non si tratta di un progetto paternalista perché oggi, nel 2016, questo progetto ha senso e può funzionare solo se avviene all’interno di un dialogo, di una collaborazione. La Rai offre strumenti perché domani possa essere il pubblico a spingerla con gentilezza.

Il servizio pubblico diviene così una banca delle conoscenze, uno sportello che offre micro-conoscenze[4], ma lo fa, naturalmente, con la fondamentale vocazione di intrattenere, di essere anche divertente, innovativo, coinvolgente, come si direbbe oggi engaging. Nella consapevolezza che intrattenere è uno strumento, ma il fine è quello di produrre Return on Society[5] – ROS, come ci indica l’European Broadcasting Union.

Appare abbastanza paradossale, infatti, che si dia – nel dibattito governativo, sui giornali – tanta enfasi sull’innovazione, sull’importanza di finanziare, premiare[6], stimolare idee e processi virtuosi, mentre al contempo il servizio pubblico radiotelevisivo abbassa l’asticella della riflessione e del dibattito democratico. L’innovazione (tecnologica, sociale ecc) del Paese passa attraverso la convergenza di tutte le piattaforme di dialogo tra amministrazione e cittadinanza, e la Rai potrebbe svolgere in questo senso un ruolo fondamentale.

In una inondazione globale di informazioni, permane uno spazio per un contributo critico e autorevole da parte di un media pubblico a cui rivolgerci, cercando rotte da seguire nello spaesamento quotidiano ma, anche, soprattutto, negli eventi più critici. Rimane folgorante, nelle ore a seguire i recenti fatti di Parigi, la quasi totale assenza di resoconti istituzionali che cercassero di mettere ordine e ricostruire fili di logica in mezzo al dolore collettivo. Anche questo è compito e scopo dei media pubblici, mantenere lucidità e tenere alta l’asta dell’analisi dei fatti, facendo anche degli eventi più drammatici occasioni di consapevolezza, di coesione sociale, di crescita di capitale umano, di idee per il futuro. La tv pubblica deve raccontare la complessità e all’interno di questa mostrare i nodi ma anche le strade, i futuri possibili.

Però, appunto, si tratta di un progetto partecipato, non unidirezionale.

Ridisegnare la Rai avrà senso solo se questa saprà ricostruire la fiducia con il proprio pubblico. Fiducia è la parola chiave, che dovrà segnare il rinnovo della convenzione, l’unica strada per ridare dignità ad un mezzo che parla ogni giorno ad oltre un terzo della popolazione italiana, sussurrando parole ed istinti non sempre degni di uno dei più importanti servizi pubblici europei.

La fiducia si costruisce con i fatti (una Rai migliore) ma anche con l’ascolto, la cooperazione. Il broadcaster pubblico deve riaprirsi al Paese, riallacciare un legame, un’intesa, un’alleanza. Per fare questo l’azienda pubblica si deve dotare di ponti con l’esterno, ovvero strumenti nuovi di dialogo.

Non si tratta solo di monitorare il prodotto ed interpretare i gusti del pubblico (verifica della qualità e della qualità percepita, quindi “ascolto” del proprio pubblico in funzione di un suo potenziamento, funzione tradizionalmente svolte dal marketing), no si tratta di “danzare col pubblico”, ovvero avviare un nuovo percorso collaborativo.

Il dialogo va inteso come nuova modalità di costruire i processi pubblici nel nuovo millennio, ovvero costruirli con modalità “partecipate”, quindi con un elevatissimo grado di interazione continua con la società. L’unico modo, infatti, con cui oggi la Rai può acquisire nuovamente un ruolo di guida nel Paese, di influencer dell’agenda politica, è di aprirsi. Inizialmente sarà necessaria una fase, più o meno lunga, di chiusura, perché ogni grande cambiamento necessita di tempo, di un importante lavoro all’interno, sulle persone, sui processi. Ma poi è necessario che la Rai si apra all’esterno in un vero dialogo con il Paese che le permetta di riacquisire un ruolo guida nel dibattito critico nazionale. E che, soprattutto, le permetta di costruire un progetto pubblico bidirezionale, non autoritario anche se fortemente determinato.

Questo è fondamentale perché permette di reinterpretare il concetto di servizio pubblico “educativo” in una chiave moderna, di un paternalismo partecipato, negoziato. “Informare, educare, intrattenere”, siamo ancora lì, ma è passato quasi un secolo ed è completamente cambiato il concetto di “educazione”. Non esiste educazione unidirezionale come non esiste una informazione neutrale: è un processo frutto di responsabilità, coinvolgimento e mediazione.

Ed è un processo che deve portare a costruire un cittadino che dopo aver scoperto le chiavi per comprendere appieno il palinsesto è in grado di svelare anche le chiavi dei processi produttivi e domani la possibilità di metterli in discussione.

Anche per recuperare un dialogo con i territori. Per radicare Rai anche nelle aree più difficili del Paese, con l’obiettivo principale di lavorare sul divario sociale tra nord e sud, sui divari, sulla compatibilità tra specificità locali e alterità, quindi sulla contaminazione. E in questo contesto si innesta molto bene il tema della “cittadinanza digitale”. Riacquistare un legame con i territori e introdurre nuovi linguaggi anche tecnologici potrebbero viaggiare assieme, all’interno di un’unica strategia.

Questa è la Rai che vorremmo. Una Rai con una mission, discutibile, perfettibile, ma solida, pubblica, trasparente e condivisa.

 


 



 


 


[1] “Nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, fino ad allora controllata dal triangolo industriale Milano-Torino-Genova, sono emerse zone periferiche non di forte tradizione economica, con l’effetto di riprodurre nuove direttrici economiche verso il nord-est e, lungo la Litorale Adriatica, nuove ricchezze e nuovi ricchi” (Barca, 2007, p. 67).

[2] Thaler R.H. e Sunstein C.R. (2009)

[3] Barca, 2016: “In questo caso anche chi non ne usufruisce può comunque trarre un vantaggio sociale dall’esistenza di quel bene, perché ha potenziali ripercussioni sullo sviluppo e l’inclusione sociale e, quindi, aumenta il benessere collettivo”.

[4] Il riferimento è al micro-credito e al progetto del nobel per l’economia Muhammad Yunus http://muhammadyunus.org/

[5] EBU, 2014: “The term Return on Society relates to the various positive effects that PSM deliver to a specific society, group and individual: the idea that PSM is much more than a bunch of broadcasters delivering content to a wide audience measured in terms of market share and reach. It relates to our raison d’être, i.e. to the positive impact of content and services on: – Societies – by offering a platform for information and democratic debate, reflecting the diversity of national and cultural identities, supporting social cohesion, providing a guarantee for plurality, producing and promoting European and local cultural productions, and preserving cultural heritage – Individuals – by supporting citizenship (information, representation, participation) – Cultural organizations, other public institutions, the media eco-system, the economy, and employment. When we connect to the networked society we create more opportunities to deliver public value – to empower citizens, to enable communities to deal with social issues, to bridge the digital divide, and liaise with other parts of society that create public value. Developing the concept of RoS offers a strong instrument for measuring success and defining priorities in our programmes and services. It allows us to focus more on fundamental issues, relating to the lives of citizens and the future of humankind. It can also strengthen the legitimacy of our activities. In an increasingly competitive environment, we have to be more distinctive, deliver greater value for money, and perform more effectively”.

[6] Vedi ad esempio i “Challenge Prizes” promossi dal governo Usa o gli “Horizon Prizes” lanciati dall’Unione Europea nel 2014 per premiare idee su efficientamento energetico, salute ecc. Vedi Manzella (2015).

 


 



 


 


— BIBLIOGRAFIA DI PARTENZA —

Arcagni S. (2016) Visioni digitali, Einaudi, Torino

Barca F. (2007) “Un settore per sottrazione: riflessioni sulla nascita della Tv Locale in Italia” in Barca F., a cura di, Le Tv invisibili, Rai-Eri

Barca F (2016) Rai e la sua missione possibile http://www.flaviabarca.it/rai-e-la-sua-missione-possibile/

Bechelloni G. (1972) Politica culturale e regioni: intervento pubblico e sociologia del campo culturale, Milano, Edizioni di Comunità

Cagé Julia (2016) Salvare i media. Capitalismo, crowdfunding e democrazia, Bompiani

Crainz G. (2003) Il paese mancato, dal miracolo economico agli anni ottanta, Donzelli

De Rita G. (1982), “Valore del localismo come caratteristica dell’attuale sviluppo italiano” in Fondazione Giorgio Cini Incidenza e valore delle televisioni locali nel tessuto politico, economico e sociale del paese, Milano, Fincom

EBU (2014) Vision2020 – http://www3.ebu.ch/files/live/sites/ebu/files/Publications/EBU-Vision2020-Full_report_EN.pdf

Hardardottir H. (2015) Rallying Support Through Open Dialogue and Engagement, Ebu Knowledge Exchange 2015 https://www3.ebu.ch/files/live/sites/ebu/files/events/Media%20Intelligence%20Service/KX15/presentations/6.%20Session%202%20-%20Hildur%20Hardardottir%20-%20RUV%20Rallying%20support%20through%20open%20dialogue.pdf

Manzella G. (2015) Premiare le idee nella Pubblica amministrazione per cambiare l’Italia in Huffington Post 23/04/15 http://www.huffingtonpost.it/gian-paolo-manzella/premiare-le-idee-nella-pubblica-amministrazione-per-cambiare-litalia_b_7106062.html

Mazzucato M. (2014) Lo stato innovatore, Bari, Laterza

Thaler R.H. e Sunstein C.R. (2009) La spinta gentile, Feltrinelli

 

— Percorsi —

  • Approfondire i possibili strumenti di incontro e di dialogo tra servizio pubblico e cittadini / comunità, anche in formato digitale
  • Approfondire il ruolo di mediazione che la Rai può svolgere tra vecchi (università, comunità culturale e scientifica) e nuovi intermediari (associazioni, comunità)
  • Approfondire il ruolo del servizio pubblico nei territori

 

— BIBLIOGRAFIA IN FIERI —

Andò, Romana La Rai che vorrei. Come ripensare il servizio pubblico televisivo, dalla parte delle audience? in www.key4biz.it 17 March 2016 https://www.key4biz.it/la-rai-che-vorrei-come-ripensare-il-servizio-pubblico-televisivo-dalla-parte-delle-audience/153425/

Ang, Ien, Desperately Seeking the Audience, London, Routdlege 1991

Bowens, Michel Transition Proposals Towards a Commons-Oriented Economy and Society, 2013, http://p2pfoundation.net/Transition_Proposals_Towards_a_Commons-Oriented_Economy_and_Society

Bowens, Michel Beyond Jeremy Rifkin: How Will the Phase Transition to a Commons Economy Actually Occur? In http://www.huffingtonpost.com/ 4/23/2014 http://www.huffingtonpost.com/michel-bauwens/beyond-jeremy-rifkin-how-_b_5185948.html

Katz, Elihu and Lazarsfeld, Paul F. “Personal influence: The part played by people in the flow of mass communications”, The Free Press, New York, 1955

Key4biz (2016) La Rai che Vorrei, vedi i diversi contributi sulla mission Rai pubblicati su www.key4biz.it tra marzo e maggio 2016

Lazarsfeld Paul F., Berelson Bernard and Gaudet Hazel “The People’s Choice: How the Voter Makes Up His Mind in a Presidential Campaign” Columbia University Press, 1948

Licklider, J.C.R. and Taylor, Robert W. The Computer as a Communication Device, in Science and Technology, n.76, April 1968 http://www.utexas.edu/ogs/alumni/events/taylor/licklider-taylor.pdf

Mezza, Michele La Rai che vorrei: un grande impresario di algoritmi narrativi e non più un’accademia di raccontatori in www.key4biz.it 17 March 2016 https://www.key4biz.it/la-rai-che-vorrei-un-grande-impresario-di-algoritmi-narrativi-e-non-piu-unaccademia-di-raccontatori/153578/

Moore, Martin Tech Giants and Civic Power, Centre for the Study of Media, Communication and Power, April 2016, King’s College London

Rushkoff, Douglas Corporate Greed Isn’t New. The Internet Is Just the New Playing Field, speech on You Tube https://www.youtube.com/watch?v=mAOyOULWKUo&feature=youtu.be

Sehl, Annika and Cornia, Alessio and Rasmus, Kleis N. Public Service News and Digital Media, Digital News Project 2016, Reuters Institute

 


 


 


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